sabato 10 marzo 2012

UNA SIGARETTA ACCESA - EPISODIO N. 9


Cominciò a farle male la testa. Avrebbe voluto tanto accendersi una sigaretta, ma sapeva che Michele non fumava e non voleva dargli fastidio, né uscire in terrazzino proprio ora che era appena arrivata; si sarebbe sentita troppo maleducata.

“Il tè é pronto!”

“Si? Ottimo, grazie! Non scomodarti, vengo io in cucina!”

Michele stava portando il vassoio dalla cucina al salotto ed era proprio in un punto cruciale, a metà del corridoio. Le parole di Veronica lo bloccarono come in un fermo immagine. Rispose immediatamente assecondandola.

“Va bene, accomodati!” e intanto era tornato indietro e aveva poggiato il vassoio sul tavolo della cucina.

Veronica, entrando, gli sorrise e si mise seduta, aspettando di essere servita.

Il tè non era male, peccato che i biscotti da colazione avessero un gusto banale. Notò che casualmente erano di quelli semplicissimi che di solito lei usava per fare una sorta di mattonella a strati, con burro e cacao; un dolce che ogni tanto preparava perché piaceva tanto a Lorenzo, che di solito la mattina se ne inzuppava una bella fetta nel suo caffè macchiato.

Da uno a dieci, Michele era imbarazzato a livello 8, quasi 9, e si era soltanto ad  un semplice tè. Ad un certo punto  sfiorò la mano di Veronica e lei continuando a sorridere, gliela lasciò per qualche istante. Quindi, la giovane donna si sforzò di parlare del più e del meno e di portare il discorso sul materiale che dovevano studiare. C’erano delle dispense che erano talmente malmesse che sembravano provenire da un vecchio ciclostile. Chiese a Michele se ci aveva capito qualcosa. Lui afferrò al volo la richiesta e si offrì di spiegarle per bene ogni cosa.
A quel punto non c’era proprio più motivo per starsene ancora fermi lì in cucina a perdere del tempo per guardarsi negli occhi. Si spostarono  nello studiolo e per un paio di ore non parlarono altro che di interventi di pronto soccorso e di basi di anatomia. Dopo aver dissertato per lungo tempo di fratture, emorragie, fasciature, posizioni di sicurezza e shock anafilattici alla fine Veronica era proprio sfatta e chiese di potersi accendere una sigaretta. Michele acconsentì e lei, per non dare fastidio,  si spostò nel terrazzino. Richiuse il più possibile la porta finestra dietro di sé con una calma impassibile. L’aria a quell’ora era decisamente fresca. In quella serata, anonima, le macchine sotto di lei scorrevano in opposte direzioni, andando dove solo loro sapevano. Sembravano i pensieri impazziti di Veronica, che lì, in quel momento, non sapeva cosa fare. Avrebbe potuto rientrare e sedersi svogliatamente sul divano; sapeva che con una semplice occhiata languida e una qualsiasi posa banalmente provocante in pochi secondi  Michele le sarebbe saltato addosso. Sono cose, queste, che una donna percepisce al volo e lei, questa sensazione, ce l’aveva avuta dal primo momento in cui era entrata in casa di Michele. Oppure … si sarebbe potuta gettare dal terrazzino. Non percepiva nessuna via di mezzo. Per scavalcare le sarebbe bastato  un attimo e poi, un urlo, il buio. E poi basta, tutto finito. Avrebbe smesso anche di pensare, finalmente,  a quel fantasma che ancora aleggiava su di lei. Lorenzo era sempre accanto a lei, anche prima, dentro ai biscotti che le aveva offerto Michele. Ma cosa se ne faceva di un fantasma? Non l’avrebbe più abbracciata, né ci avrebbe parlato, non le avrebbe aperto la portiera della macchina, né l’avrebbe fatta più ridere. Eppure, nemmeno in quello stato di depressione totale, Veronica sentiva qualcosa che si potesse anche lontanamente definire odio o rancore verso quel suo grande amore che aveva la colpa di essersene andato. C’era solo, l’amarezza, enorme, di non poter più condividere la vita con lui.

Appoggiò la punta del piede destro alla base della ringhiera. Era stretta, molto stretta e l’appoggio che le poteva fornire era blando. Avrebbe dovuto usare le braccia. Per provarne la forza e per sentirsi più libera, si tolse di bocca la sigaretta accesa e la buttò giù, senza assolutamente pensare a dove cavolo sarebbe caduta. Si appoggiò con tutta la forza di entrambe le braccia alla parte superiore della ringhiera. Il freddo del metallo le risalì dalle mani e le penetrò fin dentro al petto. Chiuse gli occhi.

“Veronica, ti ho preparato l’aperitivo! Non sono un fenomeno ma almeno ci ho provato. Dai forza! Quante sigarette ti stai facendo? Non hai freddo lì fuori?”  

La voce di Michele la richiamò alla realtà. Veronica riaprì gli occhi, tolse la punta del piede che ancora era incastrato tra due stanghe della ringhiera, si strinse nelle spalle e rientrò.


4 commenti:

  1. Veronica, e qui voglio parlare solo di lei e della sua storia, lo specifico, è in bilico tra due realtà. Una è quella di un fantasma sempre presente, non come disturbo ma come ossessione, l'altra è la sua vita attuale, che scorre, a sua insaputa, con un nuovo personaggio che cerca di entrare prepotentemente nel suo quotidiano. Sa benissimo che il suicidio, risolverebbe il problema drasticamente ma non lo accetta perché è contro il suo modo di vivere e realizzare le cose. Sarebbe in pratica, una resa totale. Ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei e nello stesso tempo ha paura di farlo perché teme il giudizio di chi c'era prima, anche se non c'è più fisicamente. Deve liberarsi da questa ossessione, altrimenti è come un passero senza ali, debole e indifeso. Attendo il numero 10. Ciao Checcus.

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    1. Nel numero 10, al massimo nel numero 11 saprai cosa, chi e come sceglierà:-))) Comunque la tua analisi é pulitissima e lineare, oserei dire perfetta, caro Checcus!

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  2. La difficoltà di porsi un passato così forte veramente alle spalle- La difficoltà di chiudere la porta dell'anima su quei ricordi così importanti, l'esitazione prima di lasciarsi andare al corso del flusso della vita.
    Davvero ben scritto, cara Annalisa

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    1. Ho visto troppi funerali di persone che hanno contato e fatto tanto. Ero bambina quando è morto prima John, poi Robert Kennedy e poi ancora M.L.King. Più recentemente, ho sentito il racconto della moglie e del figlio del commissario Calabresicirca i momenti immediatamenti successivi al suo assassinio. Ne sono rimasta colpita. Non ho certo creato Lorenzo sulla falsariga di uomini di tale statura (per quanto la stessa si possa intendere sotto varie sfumature), ma mi é rimasta impresso il dolore, raccolto e tuttavia intenso, delle mogli. Crescendo come donna ho sentito la necessità di esprimere, in questo momento della mia vita, il peso fortissimo che può avere un amore vero quando ci abbandona troppo presto. Grazie Paola, come sempre, per quel tuo affettuoso prendermi per mano avendo già capito quello che mi detta il mio cuore.

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