giovedì 26 gennaio 2012

UNA SIGARETTA ACCESA - EPISODI 1-2-3


...seguendo la gentile richiesta dei miei carissimi lettori, propongo qui insieme i primi 3 episodi del racconto iniziato tempo fa....

Erano più di tre i mesi passati in questa sorta di bunker. Una non vita che la stava consumando, a poco a poco. Prima, ogni giorno aveva un suo senso, preciso, inequivocabile. Che ci fosse da fare la cosa più semplice o quella più impegnativa, poco importava. Allora c'era lui, nella sua vita. Quel legame che li univa anche a distanza, sotto forma di un sms o di una telefonata, bastava a colorare anche la giornata più grigia e storta che poteva capitare. La sera si trovavano insieme, e questo bastava. Quelle poche ore erano sufficienti per rigenerare entrambi. Dopo i frenetici ritmi di lavoro durante il giorno, era consolante tornare a tempi lenti, a gesti forse uguali, ma mai banali, a quei toni di voce pacati che vogliono dire 'finalmente qui, con te, il resto, per ora, non conta proprio un bel nulla e lo lasciamo fuori!'


Ma Lorenzo adesso era lì, di fronte a lei, inerme, in un letto d'ospedale. L'asfalto bagnato, una caduta in moto e, d'improvviso, tutta quella realtà che una volta tanto si era magicamente fatta così lineare, piacevole e comprensibile nella vita di Veronica ora era semplicemente un qualcosa che era stato e che non era più.

Era stata un'infermiera a chiamare Veronica. Sul telefonino di Lorenzo, recuperato dal suo giubbotto sberciato durante la caduta, c'erano scritte delle cose troppo belle, appiccicate al suo numero. Era bastato fare click & chiama su uno di quei tanti messaggi. Purtroppo stavolta non ci sarebbe stato nulla di bello da dire né, tantomeno, da sentire.


Niente vacanze insieme. Niente di niente.

Tutto rimandato a chissà quando. Forse a mai…

Lorenzo aveva avuto l'incidente poco dopo che l'estate era iniziata. Quante volte le aveva parlato di quel posto meraviglioso dove voleva andare assieme a lei? Erano così tante che ormai Veronica, anche se non c'era ancora stata, immaginava tutto. Lorenzo voleva portarla al sud, nel profondo e abbacinante sud d'Italia, a Favignana. Veronica non c’era mai stata e non vedeva l’ora di esserci. Organizzata come sempre aveva già cercato qualche posto carino, su internet. Ce n'era uno che le piaceva così tanto...sembrava costruito nella pietra lavica, i pochi arredi erano coloratissimi e arabeggianti e il letto poi, con quella sorta di baldacchino di tulle, l'aveva fatta sognare parecchio, cosa che le riusciva benissimo, nonostante non fosse certamente più una bambina. Immaginava che ci avrebbero finalmente fatto l'amore, col chiaro di luna che li sfiorava entrando dalla finestra aperta mentre la risacca del mare avrebbe accompagnato i loro sorrisi e gli sguardi intensi che si scambiavano tutte le volte che venivano a trovarsi pelle contro pelle.

Ma ora Lorenzo era lì, immobile, e c'era ben poco da fare e tanto meno da sognare.
Uscire da quella stanza voleva dire sopravvivere, come un automa, a tutto quanto poteva capitare di altro.
Stare in quella stanza voleva dire, continuare ad amarlo e ... continuare a sperare, sebbene Veronica in realtà non sapesse nemmeno cosa veramente significasse sperare in una situazione simile.
Mentre lo guardava, spesso le capitava di pensare ad una foto che lui le aveva mostrato molto tempo prima. Era in spiaggia, da solo. Si vedevano degli alberi sullo sfondo, forse una pineta. Con quegli occhiali rotondi e con quell'asciugamano scuro che aveva in mano, appena sollevato dal vento, in quella foto Lorenzo le aveva sempre dato l'idea di una sensualità latente, inespressa, ma potente, la stessa che  l’aveva affascinata in modo irresistibile fin dai primi tempi in cui si erano conosciuti.
Lei ancora non lo conosceva all'epoca della foto, ma avrebbe voluto già esserci, tanto che, ripensando a quanto le piaceva in quell'atteggiamento e in quel luogo,  una volta le venne da dire: 'Ma una buona volta li faremo, io e te, i rotoloni sulla sabbia?'

 'Certo..amore!' fu la risposta, immediata, di Lorenzo, cucita addosso al suo sorriso.


Ma ora Lorenzo era lì, immobile. Sperare era solo illusione? Non lo sapeva ancora. Si accese una sigaretta, poi la spense, ricordando che lì non si poteva fumare. L’odore intenso del fumo  coprì, per qualche breve istante, la moltitudine di pensieri neri che abitavano la sua testa e che sembravano sbattere contro le pareti del cranio, come una risacca insistente, monotona, perpetua.

Veronica uscì all’ospedale, tentando di vivere, ma era una cosa, questa, che non le riusciva tanto bene. No, ora proprio no.
Arrivata al parcheggio, dribblò con noncuranza un  extracomunitario dal fare gentile che voleva venderle, ironia della sorte, dei calzini da uomo. Non sprecò nemmeno una parola. Sorrise mestamente a quel povero cristo, pensando che magari colui ora era ben più felice di lei. Si infilò in macchina con lo stesso silenzio e la velocità di un extraterrestre che risale sulla sua astronave per tornare al suo mondo, distante migliaia di anni luce, desideroso solo di partire e di lasciare per sempre il suolo che ha appena calpestato. Allo stesso modo, nulla di quello che aveva visto e vissuto durante il giorno  era piaciuto a Veronica. Aveva solo urgenza di tornare a casa. E poi, quelle ore passate accanto a Lorenzo, la stordivano. Le davano lo stesso effetto che le era rimasto impresso una volta, quando, per sbaglio, aveva fatto cadere il suo telefonino, che si era aperto in due, con la batteria staccata da una parte, tastiera e display da un'altra, mentre la scheda era finita chissà dove. Nella fobia di provarlo per vedere che non si fosse rotto, lo aveva ricostruito in fretta, dimenticandosi di inserire la scheda. Al suo comando il telefonino si era acceso ma..niente rubrica, niente messaggi e nessuna possibilità di chiamare. Quel telefonino che, a tutti gli effetti, una volta ricostruito, sembrava, anzi, era intatto, era proprio come Lorenzo, ora: un corpo, ma senza ricordi, senza parole, senza voce, senza movimento alcuno, un corpo senza un’anima.
Le avevano detto che chi é in coma riesce a percepire, in qualche modo, la vicinanza di una persona, specie se con questa c'é un legame affettivo particolarmente forte; Veronica non sapeva se crederci. Lei stava lì, due ore tutti i giorni, solo perché amava così tanto i tratti del volto di Lorenzo che voleva percepirli il più a lungo possibile...e se tra qualche mese o tra qualche giorno, addirittura, se ne fosse andato per sempre? Non avrebbe potuto perdonarsi di non essergli stata vicina...
Arrivata a casa, andava a farsi una doccia calda e si sforzava di canticchiare qualcosa per abbattere la solitudine. Una volta, per tentare di sentirlo più vicino a sé, aveva anche provato a mettersi il suo profumo, ma sulla pelle di lei non faceva lo stesso effetto e non lo usò più. Poi, così facendo, la sua malinconia non faceva che aumentare, faceva peggio e basta, meglio lasciar perdere.
Quando si preparava da mangiare aveva provato a mettere un piatto anche per lui, come avrebbe sempre fatto quando erano insieme a casa. Ma vederlo vuoto le dava un senso così pesante di tristezza che pensò bene che non valeva la pena di perdere tempo nemmeno per quel rito così sciocco e insignificante. Ne inventò, invece un altro. Andando a letto a dormire, imparò a mettere il cuscino che usava lui accanto a sè. Sperimentò che, quello si, semmai, le teneva compagnia, forse allo stesso modo in cui un pelouche tiene compagnia a un bambino e, così, almeno, riusciva ad addormentarsi, o meglio, a perdersi malamente in un sonno leggero, agitato, sperando di riposarsi quel tanto che le avrebbe consentito di ricominciare un'altra giornata grigia, esattamente identica a tutte le altre giornate grigie che si stavano moltiplicando in quel periodo così incomprensibile, assurdo e vuoto della sua vita.

“Buona serata!”
Veronica, come sempre, era molto distratta, ma quelle parole la colpirono come il sasso lanciato da una fionda e arrivato, guarda caso, dritto in fronte, in mezzo agli occhi.
Era stato il salumiere a parlarle, proprio mentre le allungava il suo involtino di carta banca con le scritte rosse, con dentro il prosciutto cotto che le sarebbe servito per cena .
Tornando dall’ospedale quella sera all’improvviso si era ricordata  che il frigo era semivuoto ormai da giorni. Quando non aveva né voglia né idee per farsi da mangiare di solito si preparava un piatto di pasta e l’occorrente per farsi un piatto di pasta più o meno era sempre a disposizione. Era dai tempi dell’università che aveva scoperto questo metodo veloce e sicuro per rigenerarsi un po’. Qualcuno le aveva  detto che probabilmente era l’effetto della serotonina; sarebbe riuscita a calmarsi e a dormire un po’ meglio. Ma era stata in giro tutto il giorno e un semplice piatto di pasta, quella sera, non le sarebbe bastato. Le era venuto in mente il prosciutto e ora era alla ricerca di qualcosa d’altro.
A parte le sue sigarette, non aveva mai voluto prendere pastiglie o gocce varie per diferndersi da quella che oramai era diventata una morbosa malinconia. Preferiva reagire da sola, come aveva sempre fatto finora. Se fosse riuscita ad alimentarsi regolarmente, si sarebbe aiutata certamente un po’ di più. Sapeva che doveva provarci, almeno.
Ma quelle parole, dette dal salumiere, le avevano dato una specie di scossa.
Buona serata…ma quale buona serata? Ma come si era permesso?
La sua rabbia fu breve. No, in realtà, poverino, sicuramente il salumiere aveva solo pensato di essere gentile. Una banalità, un saluto come tanti altri fatti a tante altre persone. Anzi, chissà quante altre volte aveva detto ‘Buona serata’ in quello stesso giorno. Lei che numero era stata? 164, come il numero che aveva preso per fare la coda? Chissà! Lei era semplicemente una di quelle tante persone. Non era giusto prendersela. Che ne sapeva, lui, della sua situazione? Arrivando a pensare a questo, si rimproverò di non avergli risposto nemmeno con un sorriso. La maleducazione era  una caratteristica che aveva sempre mal sopportato negli altri. Ora stava diventando identica a quelle persone che le davano sui nervi tutte le volte che le incontrava? Non era una bella prospettiva.
Mentre passava, lenta, tra gli scaffali del supermercato, continuò a riflettere, come se quel saluto avesse aperto una stanza che era rimasta chiusa da tanto tempo in quel gran trambusto che continuava ad agitarsi nella sua mente, nonostante, intorno a lei, tutto fosse  apparentemente immobile.
Da quanto tempo non c’era più motivo perché una delle sue serate fosse ‘buona’? Gli altri ogni tanto uscivano, chiacchieravano, si incontravano da qualche parte. E lei? Le sue serate erano sempre uguali e lei era, sempre, da sola, da quasi tre mesi ormai. Si, qualche amica le aveva telefonato, ma aveva sempre declinato ogni invito. Le dava fastidio anche quasi rispondere al telefono quando sapeva che doveva dare certe notizie che non cambiavano mai e  sulle quali avrebbe preferito tacere. 
Veronica da sola ma col pensiero fisso di Lorenzo.
Lorenzo che rimaneva  steso su quel letto d’ospedale.
Veronica salì in macchina con la busta della spesa. Aprì il finestrino. Si accese una sigaretta e girò il muso della sua Mini verso casa.



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